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L’universo creativo di Lorenzo Marini

L’artista e comunicatore Lorenzo Marini è l’unico creativo italiano invitato a esporre all’ultima edizione della Biennale Arte di Venezia che ha aperto i battenti il 20 aprile. Il titolo di questa 60° edizione, ‘Foreigners Everywhere’, vuole stimolare una riflessione sul tema delle discriminazioni e della xenofobia e la ricerca artistica di Marini ragiona proprio su quanto i sistemi linguistici, rappresentati da lettere su tela, possano influire sui rapporti umani, generando gorghi e separazioni.

In BlackHole Z – una delle opere in mostra nel Padiglione Grenada, curata da Daniele Radini Tedeschi, al Palazzo Albrizzi Cappello – le lettere dell’alfabeto si uniscono in un vortice senza formare parole complete, creando un discorso apparentemente impossibile che vuole essere lo specchio della società contemporanea, caratterizzata da una progressiva frammentazione del pensiero. Ma il ‘buco nero’ rappresenta anche una speranza, un portale verso una nuova dimensione, dove i caratteri escono dai confini linguistici per diventare simboli di pura bellezza e potenziali nuovi protagonisti della nostra esistenza.

Al centro della produzione artistica di Lorenzo Marini ci sono sempre il linguaggio, le parole e la comunicazione, ma delocalizzati e risignificati in chiave estetica ed espressiva. Sono, infatti, le lettere dell’alfabeto, intese come segno grafico, le protagoniste delle sue creazioni che spaziano dalla pittura, alla scultura e arrivano fino alla realizzazione di installazioni interattive. “Nel 2016 ho avuto un’intuizione artistica che mi ha portato a celebrare la bellezza delle lettere. Nel 2017, forte di questo successo, ho creato il ‘Manifesto per la liberazione delle lettere’ diventando, di fatto, il caposcuola di un nuovo linguaggio artistico: quello che dedica a ogni singola lettera dell’alfabeto un’opera, liberando così le lettere dall’obbligo della funzione, per celebrarne la pura bellezza intrinseca. Le mie opere pittoriche possono essere lette come la traduzione in arte contemporanea di campagne pubblicitarie, con una rigorosa logica degli spazi e degli equilibri, nella sua prima ricerca sui visual; così come possono essere lette come un pensiero rivoluzionario sulla bellezza pop dell’alfabeto contemporaneo, in questa seconda fase artistica”. Così, in un’intervista pubblicata su queste pagine, Lorenzo Marini ci parlava della genesi dell’attività creativa che si affianca e si fonde a quella che, con l’agenzia Lorenzo Marini Group, porta avanti da oltre venticinque anni in ambito pubblicitario.

Le sue composizioni – che si inseriscono nel filone della TypeArt – utilizzano le unità minime delle parole, siano esse bidimensionali o tridimensionali, con un duplice scopo. Da una parte, infatti, c’è l’intento di dare loro autonomia e dignità artistica indipendentemente dal loro utilizzo convenzionale e, dall’altra, la volontà di instaurare, attraverso di esse, un dialogo visivo e concettuale con lo spettatore. RainType – una delle sue installazioni più suggestive – è forse l’esempio più lampante di questa poetica. L’opera, dopo essere stata esposta all’interno della mostra realizzata al Complesso Museale di Santa Maria della Scala di Siena, è approdata all’inizio di quest’anno in Corea del Sud dove Lorenzo Marini è stato l’unico artista italiano invitato alla ‘World Art Expo’ di Seoul.

In uno spazio quadrato dal fondo specchiato, settemila lettere serigrafate su piccoli riquadri in plexiglas pendono da fili appesi al soffitto, in un gioco di trasparenze e colori. Per realizzare quest’opera Lorenzo Marini ha ideato e disegnato circa duecento logotipi originali – ispirati non solo alle lettere ma anche agli ideogrammi orientali – che si ripetono più volte e sembrano esplodere randomicamente nello spazio.

“Quest’installazione immersiva”, spiega lo stesso Marini, “prende ispirazione da una giornata di pioggia. Solo che qui le gocce di pioggia non cadono mai, ma rimangono sospese in un universo linguistico tutto da scoprire. Le lettere diventano tali solo se si associano insieme ad altre lettere e prendono la forma della parola. Acquisiscono il senso nella loro composizione lineare. In quest’opera d’arte, le lettere non toccano mai terra, ma rimangono nel mondo delle idee, del possibile, del potenziale. Non hanno fretta di toccare terra, non hanno fretta di diventare parola, frase, discorso. Amano la libertà dello spazio e la sospensione del tempo. Aspirano a diventare frammenti di eternità”.

Il critico d’arte Luca Beatrice ne ha scritto, analizzando i rimandi estetici da cui l’installazione trae ispirazione: “L’opera è senza dubbio un omaggio all’Alfabeto di Erté, che in epoca Art Decò disegnò 26 lettere formato cartolina che riprendevano principalmente le forme sinuose del corpo femminile. Un’intuizione che Lorenzo Marini aveva già affrontato in un lavoro di alcuni anni fa, dove mise insieme performance, fotografia e pittura. Ciascuno ha i propri maestri e Marini appalesa i propri debiti, Memphis oltre a Erté, il design colorato degli anni ’80 di Sottsass, Mendini, De Lucchi e gli altri protagonisti di quella magnifica avventura italiana”. Le opere precedenti a cui il critico fa riferimento sono quelle relative alla serie BodyType in cui Marini compone le lettere sovrapponendo fotografie di corpi umani a segni digitali e pittorici.

Le sue sono tutte variazioni su un unico tema: narrare il cambiamento nella comunicazione, sottolineando la prevalenza della forma sull’essenza semantica. Con la sua opera, infatti, Lorenzo Marini sembra tornare all’antica arte delle miniature del XII secolo, in cui le lettere stesse sono il messaggio, anche quando non sono inserite nella struttura gerarchica della grammatica. In questo senso la sua arte può paradossalmente essere considerata una forma di archeologia linguistica che rappresenta, però, uno strumento atto a comprendere e decodificare la nascita di un nuovo linguaggio contemporaneo, sempre meno legato alla sintassi e sempre più visivo. Il suo lavoro, infatti, è un invito a riflettere sul modo in cui il mondo delle parole si sta velocemente trasformando e ibridando sempre di più con quello delle immagini, dei loghi o delle emoticon.

In questa dimensione parallela ogni lettera può, quindi, assumere un significato in sé e, nel momento in cui non è costretta a sottostare ad alcuna regola, può acquisirne di inaspettati. Per questo un altro dei concetti associati alle sue opere è quello di libertà “[…] di creare combinazioni, accostamenti, contrasti spinti non dall’esperienza logica ma dal puro gusto” perché le lettere “sono prima di tutto immagini”, scrive sempre Luca Beatrice. A essere liberate, però, non sono solo le lettere, ma è lo stesso processo creativo, come sottolinea il curatore Gianluca Ranzi: “Queste opere sono come messaggi affidati a una bottiglia e gettati nel mare del caos visivo in cui siamo oggi immersi, sono la testimonianza di un maestro assoluto della comunicazione contemporanea che ora si concentra sulla creatività pura e disinteressata e intravede la concreta possibilità di un progetto di libertà e di energia creativa, di una nuova avventura che si libera degli oggetti come merce e recupera gli oggetti come emancipazione e immaginazione. L’opera qui perde finalmente la sua compostezza tradizionale, si svincola dalla rigidità dei linguaggi codificati, rinuncia a compiacere un committente e diviene un centro di irradiazione di energia e di vita”.

È da questa capacità, del resto, che nasce il grande talento comunicativo di Lorenzo Marini, che ha spesso costruito le sue campagne più iconiche proprio sull’ibridazione dei linguaggi. “Da sempre è esistito il linguaggio ibrido, figlio di una contaminazione tra l’arte e la pubblicità. Io credo nei linguaggi che siano in grado di suscitare emozioni e che siano un’espressione pura della creatività, segni e simbologie che servono da ispirazione per la comunicazione, soprattutto oggi, in un’epoca in cui è sempre più necessario distinguersi dalle forme di comunicazione basate sul tecnicismo esecutivo. Io cerco di contaminare i due mondi in una sintesi visiva”, ci ha detto lui stesso in una precedente intervista.

Per questo motivo quello di Lorenzo Marini può essere definito un universo creativo a tutto tondo. Il suo lavoro si trova alla convergenza dei diversi flussi che la stessa società liquida produce attraverso la proliferazione di segni e immagini che non hanno più gerarchie e ordini di valore. Compito della sua ricerca artistica, ma anche del suo lavoro nell’ambito della comunicazione, diventa, così, quello di cercare in questo caos nuove cornici di senso, nuovi significati e nuove possibilità, alla stregua di un novello Arcimboldo. È Gianluca Ranzi a paragonare il suo approccio proprio a quello dell’artista cinquecentesco i cui ritratti emergono come somma delle parti pur non essendo riconducibili a nessuna delle singole unità di cui sono composti.