Un vento inesorabile sta spazzando via dai siti istituzionali, da quelli di notizie, da Wikipedia, dai social media… pagine e pagine web. Basti pensare che, rispetto al 2013, quasi 4 su 10 non sono più disponibili. Un fenomeno che non riguarda solo il passato, dato che l’8% di quelle esistenti l’anno scorso non ci sono già più.
L’idea che fino a qualche anno fa avevamo del web era di una galassia pressoché infinita nella quale pagine e contenuti erano condannati a vagare in eterno come rifiuti spaziali.
La ‘carta’ – ovvero libri, giornali, lettere… – è destinata a deperirsi e sparire, si diceva: quello che viene pubblicato in elettronico su internet (blog, mail, chat…) invece no.
La preoccupazione maggiore, semmai, era che uno scritto offensivo, una gaffe o un refuso fossero consegnati a eterna memoria. Pubblicare qualcosa era a portata di bambino, ma cancellarla, soprattutto se nel frattempo diventata virale, una Mission Impossible. Qualcosa però sta cambiando…
La prima motivazione è tecnica. Dopo la fase di grande espansione del web sembra sia arrivato il momento della contrazione. Una sorta di ridimensionamento naturale prima che la sua enormità possa condurlo al collasso. Tutto il mondo raggiungibile dai browser internet non vaga nell’aria, ma è ospitato fisicamente sui server sparsi un po’ in tutto il mondo. Maggiori sono le quantità di dati, maggiori dimensioni dovranno avere i server.
La seconda motivazione è legata all’indole umana. Internet si è presentato fin da subito come un Paese dei Balocchi. Un luogo dove si potevano leggere giornali gratis, scaricare foto, film e musica, ma pure sperimentare le proprie doti di comunicazione senza dover affrontare alcun costo. Tanti hanno aperto blog, varato siti dedicati alle proprie passioni, ai ricordi, all’e-commerce… attivato profili Facebook, Twitter (X), Instagram… salvo poi abbandonarli
e dimenticarli come vecchi giocattoli rotti. Quante caselle di posta elettronica non vengono più utilizzate perché il proprietario è passato a miglior vita o ne ha semplicemente dimenticato la password? Questo il motivo per cui tutti i numeri che riguardano internet vanno presi con le pinze. Non è un’elucubrazione: lo dicono i dati.
Secondo un’analisi del Pew Research Center, il 38% delle pagine web che esistevano nel 2013 non sono più accessibili, mentre l’8% di quelle del 2023 non sono già più disponibili perché cancellate o rimosse. Giorno per giorno grandi quantità di notizie e link scompaiono sotto i nostri occhi, anzi, sotto le nostre dita. Al posto di quelle pagine, che interessano genericamente ogni settore del web – da Wikipedia ai social media – il famigerato ‘errore 404’ (pagina non trovata), oppure un reindirizzamento che ci informa che il dominio del sito web che fino a pochi giorni fa era il nostro preferito è disponibile per l’acquisto.
Un altro effetto secondario dell’ascesa dei social media, che certo hanno moltiplicato in maniera esponenziale le quantità di contenuti pubblicati sul web – basta rilanciare una notizia con un copia e incolla! – togliendo spazio vitale al web statico. Ora i contenuti servono a fotografare un determinato momento, ma poi, assolto il proprio compito, sono destinati a scomparire.
Prima non era così. Pubblicare qualcosa significava fare opera di selezione. Si soppesava non solo quello che si scriveva, ma anche l’argomento scelto e il modo in cui lo si stava offrendo al popolo di internet. Ogni volta che si premeva il tasto invio lo si faceva con la responsabilità di chi condivide con una platea sterminata e sconosciuta il proprio modo di essere. Oggi molto viene pubblicato di getto, sull’onda di un’emozione o di una suggestione. Il risultato per certi versi è più vero,
ma anche molto più crudo e rappresentativo di una società con mille contraddizioni. Tanta polvere e poco costrutto.
La ricerca del Pew Research Center fornisce anche altri numeri che dovrebbero far pensare. Il metodo intanto: è stata condotta prelevando campioni casuali da circa un milione di pagine web custodite da Common Crawl: un servizio che archivia parti di internet.
Il risultato. Il 23% avevano un link ‘rotto’: facevano quindi riferimento a qualcosa – pagina, ma anche video o foto – che non esiste più. Un dato che interessa anche il 21% delle pagine della Pubblica Amministrazione, che hanno rivelato link verso l’esterno che non funzionano.
Nel primo caso, la situazione è in parte conseguenza, per esempio, di violazioni di copyright. Nel 2013 le regole erano meno stringenti e gli strumenti a tutela del diritto d’autore meno efficaci. Oggi un contenuto offensivo oppure non consentito può essere oscurato da chi ne è danneggiato o chi ne detiene i diritti. L’effetto è quello del domino: se riesco a intervenire su chi ha lanciato quel contenuto, poi questo sparirà a caduta dalle pagine di tutti quelli che l’hanno ripubblicato. Lo stesso dicasi per portali e servizi che non esistono più, perché interessati da restyling, perché frutto di tentativi non andati a buon fine, o controllati da società che hanno cambiato
il loro core business.
Nel secondo, invece, l’oblio è qualcosa di più naturale.
Le leggi cambiano,i provvedimenti dei Governi si sommano… Che significato ha oggi un regolamento relativo a una legge che non esiste più? È superato dagli eventi. Ha un valore storico, certo, ma la sua missione si è conclusa con il passare dell’attualità, sostituita da altri strumenti di indagine e di approfondimento. Il mondo esiste prima del web.
Il mistero dei contributi scomparsi interessa in maniera importante anche i social. Quasi un tweet su cinque non è più visibile pochi mesi dopo essere stato pubblicato: l’1% dei tweet viene rimosso entro un’ora, il 3% entro un giorno, il 10% entro una settimana e il 15% entro un mese. Anche qui la cosa non stupisce. Twitter (X) ha già nel formato – 280 caratteri – la sua volatilità. Spesso si pubblica per provocazione, ma poi, quando si è ottenuto il risultato voluto, oppure ci si è resi conto di aver urtato la suscettibilità di qualcuno, si preferisce cancellare (nel 40% dei casi). Nel 60% delle situazioni, poi, l’account che originariamente aveva pubblicato il tweet è stato reso privato, sospeso o eliminato. È il classico tirare il sasso per poi nascondere
la mano. Una prassi in politica.
Non stupisce neppure il dato che riguarda Wikipedia, secondo cui il 54% delle sue pagine contengono nei propri riferimenti almeno un collegamento che non esiste più. Il sapere non è più intoccabile. Anche dai vocabolari e dalle enciclopedie entrano ed escono neologismi e argomenti. I tempi cambiano, e noi con loro.