È primavera, comincia a fare caldo. Guardi il programma delle serie Tv italiane di marzo e ne trovi due che sono molto hot. Antonia, in streaming su Prime Video, e Supersex, disponibile su Netflix. Sono hot senso che sono quelle sulla bocca di tutti, on fire, come dicono gli americani. E anche nel senso che sono piccanti, irriverenti, insolite per il cinema italiano. Sono due serie agli antipodi tra loro, eppure in qualche modo vicine. Guardi la produzione e scopri che entrambe arrivano da Grøenlandia, la cdp di Matteo Rovere e Sydney Sibilia che si sta dimostrando uno dei player più importanti in fatto di cinema e di nuova serialità. Il coraggio, la sfrontatezza, l’alto standard produttivo sono i tratti comuni di queste due storie diverse e forse complementari, prodotte per i due colossi dello streaming. Antonia è una vicenda tutta al femminile, con protagonista una trentenne fuori dagli schemi: la macchina da presa è sempre sul suo volto e sul suo corpo. Tra i consulenti artistici c’è anche un uomo, Valerio Mastandrea, compagno di set e di vita della protagonista Chiara Martegiani. Supersex è una storia decisamente maschile, eppure è scritta da una donna, Francesca Manieri, e ha un’attenzione non scontata per il femminile. Il comune denominatore, dicevamo, è Grøenlandia, che ultimamente non sbaglia un colpo, anche a livello internazionale. Come vi raccontavamo, infatti, è loro la serie italiana Netflix più vista nel mondo: La legge di Lidia Poët, un’altra storia decisamente al femminile che tornerà per una seconda stagione.
Antonia: Una donna scassata, non performante
Antonia, la serie con Chiara Martegiani e Valerio Mastandrea, è prodotta da Grøenlandia con Fidelio, e diretta da Chiara Malta; si trova in streaming su Prime Video. Racconta le trentenni di oggi e quei momenti in cui capita loro di sentirsi in crisi, di non sapere in che direzione andare. E anche una malattia come l’endometriosi, poco conosciuta, ma che colpisce davvero tante donne. È una serie tachicardica, ritmata, spassosa e anche dolorosa, che si candida a essere una di quelle italiane dell’anno. Antonia, dopo aver lasciato la sua famiglia poco più che adolescente, ha trovato una sorta di equilibrio a Roma, una giungla urbana ed emotiva perfetta per integrarsi senza dover fornire troppe spiegazioni. Fa l’attrice in una soap opera, ha un compagno comprensivo, Manfredi, e una coppia di amici che ha appena avuto una bambina. Ma, al suo 33esimo compleanno, il suo piano di difesa fallisce: litiga con tutti, viene licenziata e finisce in ospedale, dove scopre di avere l’endometriosi, malattia cronica che, senza che lei se ne rendesse conto, ha influenzato tutta la sua vita. Attraverso uno strano percorso di psicoterapia, la scoperta della malattia diventerà però un’occasione per conoscersi e smettere di scappare, iniziando ad affrontare i nodi della sua vita. Chiara Martegiani, anche autrice della serie insieme a Elisa Casseri e Carlotta Corradi, tra scrittura e interpretazione riesce a disegnare un ritratto memorabile. Antonia è urticante, scontrosa, insopportabile. Eppure, a suo modo, è adorabile, irresistibile. Per il suo taglio, la sua irriverenza, lo sguardo ironico al femminile, Antonia, ancor prima dell’uscita, è stata definita subito la Fleabag italiana, ma troviamo più empatica Chiara Martegiani che Phoebe Waller-Bridge. Antonia ha un viso che buca lo schermo e un corpo che lo riempie e definisce la linea del film. Ha le gambe lunghissime, l’andatura disordinata e dinoccolata. La sua falcata nervosa e veloce detta il ritmo della serie, che è fremente e indiavolato. La regista Chiara Malta ha scelto di mettere la macchina da presa costantemente su di lei e di costruire il ritratto di una donna ‘scassata’, non performante.
Supersex: Rocco e i suoi fratelli
Supersex, come è noto, è la serie ispirata alla vita di Rocco Siffredi, prodotta da Grøenlandia insieme a Lorenzo Mieli per The Apartment. Diretta da Matteo Rovere, Francesco Carrozzini, Francesca Mazzoleni, Supersex è disponibile su Netflix. Non era facile raccontare la vita di una pornostar: il cinema e la serialità ci hanno già provato, e il rischio è sempre quello di non capire fino a dove si possa arrivare, cosa mostrare e cosa non mostrare, da che punto di vista prendere la storia. E non toccare certe sensibilità, che oggi sono all’ordine del giorno. La serie ci riesce, con un taglio che non è nuovo, ma che funziona. Supersex potrebbe chiamarsi anche Rocco e i suoi fratelli. Perché le chiavi delle scelte di Rocco Tano, in arte Siffredi (in omaggio al personaggio di Alain Delon in Borsalino) sono da riportarsi, come piacerebbe a Freud, alla sua infanzia, al rapporto con la madre e i familiari, in un’Italia povera a livello economico e di sentimenti (siamo a Ortona, nelle case popolari). Rocco (che da adulto è interpretato da Alessandro Borghi) cresce nel mito del fratello maggiore Tommaso (Adriano Giannini), in bilico tra legalità e illegalità, tra complicità e abbandono, amato e odiato dalla stessa famiglia, perché si dice non sia figlio loro; e nel dolore per l’altro fratello Claudio, malato, tanto che la madre ha occhi solo per lui. In quel desiderio che quest’ultima, per una volta, dopo aver contato dieci secondi, lo guardi, nasce un senso di rivalsa in Rocco, un vuoto da colmare in un modo che troverà, crescendo, a Parigi. È proprio il giorno in cui perde il fratello che Rocco trova quel fumetto, Supersex, che gli cambia la vita. Ed è proprio staccandoci dall’altro fratello, quello maggiore, che trova la sua via, il suo posto nel mondo. Anche i pornodivi hanno un’anima, anche i superdotati piangono, è questo che sembra volerci dire la serie. E anche che, come avrete capito, facciamo tutto per colmare quell’amore che abbiamo o non abbiamo avuto da nostra madre. Supersex, allora, racconta un personaggio maschile, potente per definizione, provando a scavare tra le sue fragilità e facendone un racconto moderno.
Con un senso di pietas anche per le donne e quel notevole ritratto di Lucia (Jasmine Trinca), la ragazza più bella di Ortona, destinata a una vita infelice. Tutto questo viene raccontato in una confezione scintillante ma anche brutale, con tanta musica anni ’80 e ’90 a creare l’atmosfera giusta.
Destinazione Grøenlandia
Tutto questo è frutto del know-how ormai proverbiale di Grøenlandia per il cinema e le serie Tv, che nella visione di Matteo Rovere e Sydney Sibilia non sono mondi alternativi, ma dialogano e si contaminano continuamente. Grøenlandia è una società di produzione indipendente, tra le più importanti e attive oggi in Italia: ha l’obiettivo di costruire e realizzare storie capaci di valorizzare e rinnovare la grande tradizione dell’audiovisivo italiano, anche nel panorama internazionale. Qualità, creatività, innovazione, valorizzazione dei talenti sono gli elementi alla base del continuo sviluppo di questa cdp, che si uniscono alla sempre maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale delle proprie produzioni. Oggi funziona come una vera factory, dove i registi sono anche produttori e viceversa e ognuno partecipa alla riuscita dei progetti firmati anche da altri registi. Tra i suoi successi ci sono la saga di Smetto quando voglio, Il primo re, Moglie e marito, Marylin ha gli occhi neri, Il campione, L’incredibile storia dell’Isola delle Rose, La belva, la serie televisiva Romulus.
Del gruppo fa parte Ascent Film, fondata nel 2003 da Andrea Paris, con l’obiettivo di divenire una realtà produttiva indipendente in grado di dar voce a nuovi talenti cinematografici, italiani ed europei. Dal 2008 Ascent Film, prima con l’ingresso di Matteo Rovere, ed entrando poi in Grøenlandia Group, ha intrapreso la produzione di lungometraggi conservando sempre ricerca, esperienza ed entusiasmo come linee guida. Del Grøenlandia Group fa parte anche Lynn, la divisione nata nel 2021 interamente dedicata alla produzione di progetti a regia femminile, sia di giovani autrici sia di registe affermate.
Matteo Rovere: dal cinema alla serialità
Matteo Rovere, dopo i film Veloce come il vento e Il primo re, ha puntato sulla serialità con Romulus. “Si intuiva che la serialità sarebbe diventata uno spazio linguistico importante per le registe e per i registi, che magari hanno voglia di proporre una modalità innovativa di racconto, delle regole drammaturgiche classiche, codificate e che potessero essere reinterpretate, che avessero un approccio positivo nel confrontarsi con delle produzioni maggiori”, ci aveva raccontato qualche mese fa Rovere. “Le serie Tv hanno budget superiori a quelli dei film e dal punto di vista creativo è possibile costruire arene molto ambiziose, come è stato per Romulus o La legge di Lydia Poët. È possibile cercare di lavorare su delle istanze creative e produttive che non sono evidentemente immediate rispetto al cinema, ma che chi come me ha amore per l’audiovisivo continua a far convivere, perché sia come produttore sia come regista ho una grandissima passione per il formato filmico. E credo cha la serialità sia uno spazio di grande comunicazione con il pubblico e di grande sperimentazione, dove peraltro c’è la possibilità di parlare con un pubblico estremamente vasto. Si tratta di lavorare con un meccanismo più complesso che possa servire, andando avanti, anche ai film”.
Un esempio di questa contaminazione tra cinema e serie è Romulus, serie in due stagioni legata al film Il primo re. “Avevo immaginato i due progetti parallelamente, poi per ragioni produttive ho fatto prima il film, ma avevo concepito l’idea di una serialità sulla fondazione di Roma, perché ha temi politici sociali spirituali che hanno un valore assoluto, ed è una vicenda nostra, del nostro Paese, poco raccontata”, ci aveva spiegato Rovere. “Leggenda e realtà storica si fondono e si confondono in maniera affascinante e per chi come me è appassionato di storia poteva essere un’arena fertile per realizzare un prodotto che avesse un’anima innovativa. Il film è nato da questa istanza, il nostro è un mestiere che fonde profondamente aspetti artistici con aspetti fattivi, pratici. Così abbiamo deciso di fare un film prima, che è andato bene, e ha avuto la sua continuazione nella serie, ma è sono due progetti nati insieme”.
Cinema e serie: mondi che danno forza uno all’altro
Il cinema e la serialità sono mondi che si rafforzano a vicenda: ogni progetto è una palestra per il successivo. “Molte sequenze del sequel di Smetto quando voglio abbiamo imparato a strutturarle facendo Veloce come il vento e Il primo re ha imparato da Smetto quando voglio”, ci aveva spiegato Rovere. “Sono progetti diversi che si nutrono di una matrice comune produttiva, grazie anche alla relazione tra tutti i filmmaker che ruotano intorno a Grøenlandia”. La serie Tv allora può nutrire il cinema e dal cinema è nutrita. “La matrice rimane sempre quella filmica, e i film sono la cosa da cui parte tutto”, riflette Rovere. “È evidente che ogni forma linguistica ha i suoi punti di forza”. Così un regista/produttore si porta alcuni elementi da una serie al cinema e viceversa. “È evidente che, come avviene anche in altri Paesi, il regista di cinema è anche produttore di fatto”, ragiona Rovere. “La serialità è una dimensione produttiva molto ampia, che ci insegna come gestire dei meccanismi anche molto complessi, dal punto di vista organizzativo, e riuscire a prendere il meglio di questa esperienza e trasferirlo sul cinema ci può portare ad avere idee più ambiziose, ma che vengono realizzate meglio, con criteri produttivi più logici. I registi, confrontandosi con opere televisive più complesse, imparano quella elasticità che poi è molto utile quando anche sui film è necessario condividere la propria idea con gli altri, capire meglio la direzione di un gruppo di lavoro. C’è tanto lavoro, tanti chilometri percorsi che poi aiutano l’accensione dei diversi formati”. Il segreto del successo di Grøenlandia è proprio in queste parole.