Il perno dell’era biomediatica - MEDIAKEY
Salta al contenuto
InterneTV Key

Il perno dell’era biomediatica

In un periodo storico in cui aumenta il timore di non saper distinguere le fake news dalla realtà, il Censis sottolinea che nel media mix non mancano i mezzi e gli strumenti in grado di soddisfare una vasta gamma di esigenze informative.

Nel scegliere il sottotitolo più idoneo a definire i contenuti del suo 19° Rapporto sulla comunicazione il Censis ha optato per un concetto apparentemente amaro ma oggettivamente attuale e realistico: ‘Il vero e il falso’. Nell’edizione di quest’anno, infatti, il Centro Studi Investimenti Sociali non si è limitato a soffermarsi sul consueto tema centrale del Rapporto, ovvero l’analisi delle diete mediatiche dei consumatori/fruitori: ha anche voluto indagare più a fondo la contrapposizione citata nel suddetto sottotitolo.

Il presupposto di base è che la distinzione fra i due estremi è tutt’altro che teorica e, anzi, si sta imponendo in modo sempre più concreto all’attenzione di tutti gli attori dello scenario, sia dal lato della domanda sia da quello dell’offerta. Si pensi alle aspettative ma, ovviamente, anche alle incognite che circondano lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, ormai uscita dallo status ‘futurista’ e già in grado di condizionare parzialmente la quotidianità degli individui e dei mercati, in numerosi settori e a molteplici livelli di applicazione.

“Mentre rimaniamo incerti nel soppesare i benefici e i pericoli connessi all’impatto dell’AI sulle nostre vite e sugli apparati produttivi”, spiega Giuseppe De Rita, Presidente del Censis, “il sentiment di chi l’ha già testata oscilla tra la paura e l’acceso consenso, secondo uno schema dicotomico che si ripresenta puntualmente ogni volta che ci troviamo di fronte alle grandi rivoluzioni tecnologiche annunciate”.

Sua Maestà la televisione

Chiarito questo concetto, su cui ritorneremo brevemente più avanti, vediamo più da vicino qualche dato e alcune tendenze inerenti la fase evolutiva che il Censis ha esplicitamente definito ‘era biomediatica’. Per inciso, possiamo anche partire con una buona notizia: il Rapporto sulla comunicazione sottolinea infatti la presenza, all’interno di un media mix notoriamente reduce da un percorso a dossi (pandemia, lockdown, faticosa risalita postemergenziale, dinamiche inflattive sfavorevoli e via di questo poco allegro passo), di alcuni mezzi in grado di catalizzare l’interesse di un’ampia fascia di pubblico e di soddisfare una vasta gamma di esigenze informative.

A svolgere questo compito con la consueta consapevolezza delle proprie forze è innanzitutto la televisione, che ha ovviamente dovuto cambiare pelle sotto almeno due aspetti primari (le modalità di fruizione e la composizione strutturale dei palinsesti) ma che non ha nessuna intenzione di dire addio al trono su cui è stata seduta per vari decenni, tra l’altro non certo vissuti ‘in pace’ e senza dover superare ostacoli e difficoltà.

Nel 2023 essa ha scandito i ritmi quotidiani del 95,9% degli italiani, quota che corrisponde a un incremento del +0,8% rispetto all’anno precedente e che deriva dalla somma, non solo algebrica, di più componenti. Più specificamente, il Censis mette in evidenza la sostanziale stabilità dell’emittenza tradizionale (il digitale terrestre), la crescita di quella satellitare (+2,1%, sempre nel 2023 vs 2022) e l’ulteriore impennata della Tv via internet. I segmenti web Tv e smart Tv registrano complessivamente un delta del +3,3% e raggiungono ormai la maggioranza assoluta dei telespettatori italiani (56,1%).

A proposito di quote di copertura, merita una citazione anche la mobile Tv, in virtù dei margini di diffusione che ha saputo sfruttare nel giro di tre lustri: è infatti passata dall’1,0% d’inizio 2008 al 33,6% di fine 2023.

A incidere in modo determinante sulla ‘seconda giovinezza’ del comparto audiovisivo non sono solo l’incessante evoluzione tecnologica e le opportunità a essa connesse (in senso letterale): ancora più rilevante è il ruolo svolto dall’adeguamento dei palinsesti alle nuove esigenze di fruizione, radicalmente differenti rispetto a quelle di un passato – nemmeno tanto remoto – in cui il nucleo familiare si radunava sul divano dopo cena, una volta archiviati gli impegni professionali, casalinghi e scolastici della giornata.

Per spiegare quali sono le caratteristiche primarie della ‘Personal Tv’ il Censis (che per la stesura del Rapporto sulla comunicazione si è avvalso della collaborazione di Rai, Mediaset, Intesa Sanpaolo, TV2000 e WindTre) ha proposto lo specifico esempio delle serie televisive, che continuano a riscuotere un

grande successo, e ha per l’appunto sottolineato che a determinarne il gradimento sono anche e soprattutto le modalità di fruizione, in grado di conferire un ulteriore valore aggiunto alla suggestione della trama, all’argomento trattato, alla qualità della recitazione e così via. I telespettatori, in sostanza, sanno cogliere in pieno le opportunità offerte dalle piattaforme e apprezzano il fatto di non dover più aspettare un determinato giorno e orario per la messa in onda dei loro programmi preferiti, di non essere costretti a seguire una puntata per volta e di poter abbinare al ‘quando’ anche il ‘dove’, visto che l’accesso tramite i device mobili ha reso parzialmente obsoleto anche il suddetto divano del salotto.

È evidente che l’opportunità non si può trasformare a sua volta in obbligo: la maggioranza degli italiani segue comunque ogni serie con cadenza settimanale ed evita ‘abbuffate’ eccessive. Detto questo, il 35% del campione guarda almeno tre puntate alla settimana, un’alternativa che ovviamente non era contemplata quando l’offerta, dal punto di vista tecnologico, era limitata al ‘tubo catodico’.

Oltre a confermare l’esistenza di questo trend, il Rapporto sulla comunicazione ha preso in esame le concause che lo hanno generato e consolidato e ha messo in risalto tre ragioni principali, sostenute da cifre quasi coincidenti (solo due punti percentuali di differenza tra la prima e la terza). Più nel dettaglio, il 32,9% dei fan delle serie televisive le segue perché “è comodo guardarle quando e dove si vuole”, il 31,6% perché i singoli episodi “sono brevi e meno impegnativi di un film” e il 30,9% per poter guardare “più puntate a fila, una dopo l’altra”.

Realtà vs fake news

Passando a un rapido e sintetico excursus sugli altri temi analizzati dal Censis, è d’obbligo tornare ai riflessi dell’avvento dell’AI.

Per citare le esatte espressioni utilizzate dagli artefici del Report, se oggi si parla molto di Intelligenza Artificiale non è tanto per i suoi ‘impieghi’ quanto per i suoi potenziali ‘effetti’: quasi tre italiani su quattro (74,0%) ritengono infatti che le connotazioni del suo sviluppo, allo stato attuale, siano ancora imprevedibili e non possano essere definite con precisione. Non stupisce che in tale contesto il proverbiale bicchiere sia visto mezzo pieno da una parte degli interpellati e mezzo vuoto da un’altra: la motivazione principale che spinge gli ottimisti a dichiararsi tali è che le macchine non potranno mai sviluppare una vera forma di intelligenza paragonabile a quella degli esseri umani, mentre i pessimisti sono preoccupati proprio per la ragione opposta e ritengono possibile la progressiva estinzione del concetto di ‘empatia umana’.

Tra l’altro, è nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale che spicca l’importanza del già accennato tema del ‘vero e falso’: secondo un consistente numero di individui, aumenterà la diffusione di notizie non verificabili e diminuirà la capacità di distinguere la realtà dalle cosiddette fake news, con grandi rischi per le democrazie (è il parere del 68,3% del campione) e per la privacy dei cittadini, che passeranno – secondo il 66,3% delle persone – sotto il diretto controllo degli algoritmi.

Non mancano i pareri su argomenti più specifici e, in alcuni casi, piuttosto singolari: 56 individui su 100 ipotizzano una serie di benefici in tema di assistenza sanitaria e 44 su 100 affermano che “saranno contenti i più giovani”, nel senso che il ricorso all’AI cancellerà definitivamente il reale significato della parola ‘studiare’…!

Le fonti d’informazione

Come è noto, il processo di convergenza è stato da tempo intrapreso dalla totalità dei media: si va dalla connected Tv e dalla web radio alle digital editon delle testate cartacee e al Digital Out-of-Home, senza dimenticare il felice connubio tra cinema ed eventi, che citiamo anche per chiarire che l’integrazione crossmediale non è legata esclusivamente alla diffusione delle nuove tecnologie e riguarda, senza eccezioni, tutti i mezzi e le discipline dello scenario.

L’intensità e l’irreversibilità del fenomeno si riflettono ovviamente anche sull’informazione e pure in quest’ambito il mezzo televisivo non ha mollato la presa, anche se ha dovuto allentarla.

Indipendentemente dal canale preferito da ogni singolo utente, il classico telegiornale conserva ancora il primo posto assoluto nel ranking delle fonti d’informazione privilegiate; la sua supremazia si è però ridimensionata in modo non indifferente, come conferma la cruda realtà delle cifre.

Il tasso di penetrazione presso la totalità dei ‘consumatori di notizie’ è infatti sceso sotto la soglia della maggioranza assoluta, passando dal 51,2% del 2022 al 48,3% del 2023: un calo di quasi tre punti tondi in dodici mesi e addirittura di 10,8 punti rispetto al 59,1% del 2019, ultimo anno prima della tempesta pandemica.

Sul versante dei media digitali si registrano l’ascesa dei motori di ricerca (+6,2% nel 2023 vs 2022, delta non eguagliato da nessun altro strumento informativo, e quinto anno consecutivo di crescita) e un’ulteriore flessione di Facebook (–5,5%).

Rispetto a quello creato da Mark Zuckerberg, altri social network se la sono cavata decisamente meglio: YouTube è sulla cresta dell’onda (cresce anch’esso da un lustro) e Instagram, definito dal Censis come una sorta di ‘enfant prodige’ della categoria, ha ormai superato i notiziari radiofonici come ‘fonte d’informazione a tutti gli effetti’, ruolo che gli viene riconosciuto dal 15,3% dei fruitori italiani.

Per quanto concerne gli argomenti privilegiati da chi vuole essere aggiornato, spiccano la politica nazionale con il 32,1% (le percentuali sono ovviamente multiple, nel senso che ogni utente interpellato può aver espresso più preferenze), il lifestyle (31,0%) e lo sport (29,2%).

Con l’addio definitivo ai lockdown e alle restrizioni, gli italiani hanno dimostrato una comprensibile voglia di uscire di casa, divertirsi e dedicarsi ai propri hobby e passioni: ne deriva l’elevata posizione occupata dalla voce cultura/spettacolo nella classifica degli argomenti preferiti da chi consulta una fonte d’informazione (27,0%).

Il costo della qualità

A parere degli analisti del Censis, nell’era biomediatica il concetto stesso di informazione è caratterizzato da una crescente richiesta di indipendenza e qualità: il ruolo degli strumenti informativi appare sempre più polarizzato, in funzione dei mezzi preferiti da ogni singolo individuo.

A privilegiare i media mainstream (televisione, radio, stampa quotidiana e periodica) sono soprattutto gli utenti che dichiarano di voler accedere a fonti “professionali e autorevoli”; chi non li apprezza, invece, afferma di preferire modalità d’informazione più dirette e libere da condizionamenti, anche se non esenti da rischi (per esempio le già citate fake news).

Più specificamente, gli ‘avversari’ dei grandi media tradizionali adducono due motivazioni principali: ritengono che essi siano condizionati dal mondo politico e che l’attendibilità dell’offerta editoriale sia subordinata a interessi economici. Tre persone su quattro concordano sul fatto che l’informazione di qualità possa e debba essere ‘costosa’: deve essere affidata a giornalisti seri e preparati, in grado di verificare fatti e fonti con competenza e professionalità, compito che non può essere assolto da chiunque.