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Dal dot-com alla nascita dell’AI: Andrea Bosso racconta in un’intervista l’evoluzione del marketing

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Nel corso di un’intervista rilasciata a Davide Battisti di “Collisioni”, il CEO Andrea Bosso ha offerto interessanti riflessioni sul futuro del digitale e sulla lunga carriera di Domino Proudly Interactive, l’agenzia specializzata in Customer Experience. Proprio quest’ultima è stata descritta come l’arte di collegare gli elementi per raggiungere l’obiettivo del cliente.

Fondatore di Domino a ventisei anni, insieme a Emiliano Cianci e Giovanni Borgna, Bosso riflette su come l’agenzia sia sopravvissuta alla Bolla delle Dot-com grazie a una combinazione di abilità e buona sorte: “Siamo stati a metà fra bravi e fortunati”.

Domino in quel periodo si è fatta strada attraverso la capacità dei suoi creatori di utilizzare i database e di porsi domande strategiche: “Quando molte agenzie puntavano sulla parte più ‘tecnica’, che voleva dire o tecnologia o creatività pura, noi avevamo dei clienti un po’ strutturati. Il domandarci sempre ‘a cosa ci serve?’, ‘cosa ci faccio?’, ‘dove vogliamo andare?’, ce lo siamo portati un po’ per nostra formazione personale, e un po’ perché io ho fatto economia, i miei soci scienze politiche e ingegneria: nessuno aveva un’estrazione puramente creativa, né puramente tecnica. È stato quello che forse ci ha distinti in qualche maniera”.

Bosso, come gli altri soci, ha vissuto il marketing in quel periodo storico in cui l’impatto di Internet è stato radicale. Oggi scorge qualcosa di simile nell’avvento dell’intelligenza artificiale. Un traguardo già conteso dal metaverso, ma al momento senza risultati concreti “nonostante abbia passato la fase di hype, a cui corrisponde quella di delusione. Invece, sull’IA c’è un hype fortissimo, le basi per essere un’altra piccola rivoluzione ci sono tutte e la capacità di mantenere la promessa è abbastanza forte”.

D’altra parte, precisa che non siamo ancora arrivati a effetti su larga scala e del tutto paragonabili all’avvento di Internet, però quelli ad ampio raggio sembrano prevedibili se consideriamo, per esempio, il lavoro di integrazione di Microsoft, Copilot. In riferimento a integrazioni di questo tipo, prevede importanti cambiamenti “prima sulle agenzie e poi sulle aziende”.

Dal punto di vista lavorativo Bosso non nasconde le conseguenze dell’IA, soprattutto per i più giovani e gli stagisti. “L’altro giorno ho tenuto un intervento al Liceo Valsalice, alle quinte. Tra le domande che mi hanno fatto: ‘Che impatto pensa avrà l’intelligenza artificiale sul suo lavoro?’ Ho risposto in maniera un po’ brutale: sul mio lavoro credo che avrà un impatto molto grande, però di base chi è senior è protetto perché spiega alla macchina cosa fare. Lo stagista è spazzato via: la parte base in cui ‘tu’ non sei ancora capace di fare un lavoro e ti devi occupare di qualcosa che è automatizzabile, è spazzata via già oggi”, sottolinea durante l’intervista.

Prosegue: “Mio figlio ha vent’anni, sta facendo adesso l’università, e non so come si inserirà nel mondo del lavoro, perché quella fettina lì a mio parere non esiste più. La macchina (l’IA) non scrive in maniera eccezionale, ma mediamente buona; quindi, quelli che scrivono inizialmente un po’ bene è un po’ male non li vedo benissimo”.

Riconosce anche opportunità, per le nuove generazioni, le quali potrebbero produrre risorse moderne proprio basandosi su l’intelligenza artificiale. “Quando ho cominciato io, il movimento delle start-up non esisteva. Adesso, invece, vedo un’apertura verso l’imprenditorialità in senso lato, ovvero: ‘provaci’! È qualcosa che in 3 o 4 anni ti lascia comunque degli insegnamenti. È quindi possibile che si riesca a studiare e fare cose nuove”.

Evidenzia come coloro che lavorano realmente nell’Olimpo dell’intelligenza artificiale siano pochi, “tre o quattro in tutto il mondo”, per questo e per trasformare tale risorsa in una possibilità lavorativa nuova, è necessario ideare qualcosa che si basi su delle “fondamenta” preesistenti. Una sfida non da tutti.

Interrogato sul ‘come si pensa in modo strategico’, dichiara che non è semplice dare una risposta, infatti, per lui è sempre stata una questione di istinto: “Di base quello che faccio è chiedermi sempre ‘perché’. ‘Perché sto facendo questo?’ Se la risposta è ‘perché è figo’ c’è qualcosa che non va. Se devo dare una giustificazione per un lavoro e non riesco a basarmi su un vantaggio per il mio cliente, forse posso fare un passo in più. La capacità di guardare in modo strategico unisce due cose che sembrano opposte: la prima è farsi un’immagine di dove andare e come arrivarci, la seconda valutare se l’immagine creata è reale. È ciò che ho imparato anche dalla mia passione per gli alianti”.

Conclude l’intervista esprimendo il desiderio di continuare ad apprendere e adattarsi in un mondo dove la conoscenza si rinnova costantemente, ma vivendola come un’opportunità. “Auguro di voler reimparare un lavoro ogni X anni, perché credo che sarà così, per i nostri figli sarà così. Per noi in parte forse è già così. L’idea di studiare per venticinque anni e fare lo stesso lavoro per altri quaranta o cinquanta non sta più in piedi, e forse è anche molto noiosa”.

Una strategia che tenga conto del più prossimo presente e le capacità di adattamento sono necessarie per cavalcare l’onda del progresso.