Cannes: Anora è la ‘Palma d’Oro’ - MEDIAKEY
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Cannes: Anora è la ‘Palma d’Oro’

Innamorarsi Anora. Non è un errore, ma il senso di questo Festival di Cannes. La ‘Palma d’Oro’ per il miglior film è stata assegnata ad Anora di Sean Baker, uno dei film che ha fatto innamorare pubblico e addetti ai lavori. Sì, una commedia, uno di quei film che intrattengono, divertono e che la gente va a vedere al cinema. Infatti verrà distribuito, anche in Italia, da Universal.

Con buona pace dei critici più tradizionalisti, come il nostro Paolo Mereghetti, che avrebbero voluto un premio a un film d’autore puro, e che hanno contestato il palmares di Cannes. Anora è la storia di un incontro, quello tra il figlio di miliardario russo, Vanya (Mark Eydelshteyn), e una ballerina di lap dance, Anora, per tutti Ani (Mikey Madison).

Anora fiuta l’affare e riesce a farsi sposare a Las Vegas. I genitori del rampollo allora provano a farli divorziare con le buone o con le cattive. Parte così un viaggio nella notte di New York dai toni surreali e pieno di trovate.

‘Premio della giuria’ e ‘miglior interpretazione femminile’ a Emilia Pérez di Jacques Audiard

Il secondo grande protagonista di questa edizione di Cannes è un altro di quei film irresistibili che ha conquistato tutti e torna dalla Croisette con due premi. Emilia Pérez di Jacques Audiard ha vinto il ‘Premio della Giuria’ e quello per la ‘Miglior Interpretazione Femminile’, che per l’occasione è diventato un premio collettivo ad Adriana Paz, Zoe Saldaña, Karla Sofía Gascón e Selena Gomez. Un musical mélo sul mondo dei cartelli della droga messicani è la pazza idea di Audiard. Ancora più pazza è l’idea alla base della storia: quel potente boss, infatti, nonostante abbia una moglie e due figli, cambia sesso e diventa una donna. A seguire Manitas, questo è il nome del protagonista prima di diventare Emilia Pérez, è un’avvocatessa, Rita, interpretata da Zoe Saldaña. È lei che si occupa di tutto, fino al cambio di sesso. Ma, a quel punto, la storia è solo all’inizio: visto che Emilia vuole tornare in Messico e incontrare i suoi figli. La protagonista è interpretata da Karla Sofía Gascón, attrice transgender. 

‘Gran Premio’ a All We Imagine As Light Di Payal Kapadia

Quel tipo di cinema d’autore più rigoroso, che alcuni volevano vedere premiato, un riconoscimento lo ha avuto lo stesso. Il ‘Gran Premio’ è andato a All We Imagine as Light di Payal Kapadia, film in arrivo dall’India, malinconico e dolente. È la storia di tre donne, tutte infermiere: a una manca il marito emigrato in Germania, che non sente da tanto; un’altra sta per sposare un ragazzo di religione islamica e sa che i suoi genitori non prenderanno bene la decisione; la terza è stata sfrattata e deve tornare al suo villaggio. Payal Kapadia, che viene dal documentario, racconta le tre donne immergendole in quello che è un paesaggio-stato d’animo, la tentacolare e affollata Mumbai, notturna e buia. È un modo per descrivere, ancora una volta, la condizione delle donne in determinate società, e allo stesso tempo un raffinato ritratto psicologico delle tre protagoniste.

‘Miglior regia’ a Miguel Gomes per Grand Tour

Il premio per la ‘Miglior Regia’ è andato a Miguel Gomes per Grand Tour, film in arrivo dal Portogallo. È una storia ambientata nel 1918 quando un uomo, che aspetta l’arrivo della fidanzata in Birmania per sposarla, si rende conto di non volere quel matrimonio e inizia così un lungo viaggio, un grand tour, lungo l’Asia, dalle Thailandia al Vietnam fino al Giappone. La sua ragazza decide di seguirlo, e così nasce la storia di un inseguimento e di un amore negato. L’idea forte del film è quella di alternare le immagini del passato a quelle di quei Paesi come sono oggi, un misto tra finzione e documentario. Un modo di legare il passato e il presente e di riflettere sullo scorrere del tempo.

Il ‘Premio Speciale’ a Mohammad Rasoulof per The Seed of the Sacred Fig

È questo probabilmente quel film più radicale e autoriale che alcuni avrebbero voluto vedere premiato con la ‘Palma d’Oro’. Ha vinto però il ‘Premio Speciale’ ed è un riconoscimento importante a un film che ha emozionato molto, sia per la pellicola in sé sia per la storia del suo regista. Parliamo dell’iraniano Mohammad Rasoulof e del suo The Seed of the Sacred Fig (Il seme del fico sacro). È la storia di un magistrato nominato come inquirente del tribunale rivoluzionario di Teheran, dove si trova a muovere una serie di accuse che poi vengono prese in esame da un giudice: sono i giorni delle rivolte giovanili per la morte di Mahsa Amini. Mentre molti giovani vengono condannati, a casa le due figlie del magistrato stanno dalla parte dei manifestanti. Il film, che nel montaggio inserisce le vere violenze della polizia contro i manifestanti, riprese con i cellulari, è un viaggio nella mente di un uomo chiuso nelle sue convinzioni, costretto dall’obbedienza ai suoi superiori. È un lungometraggio che racconta chiaramente la situazione che vive oggi l’Iran senza mezzi termini. Rasoulof è stato condannato a 8 anni di carcere ed è fuggito, a piedi, dal suo Paese.

La ‘Miglior Interpretazione Maschile’ è di Jesse Plemons per Kinds of Kindness

La ‘Miglior Interpretazione Maschile’ è andata a Jesse Plemons per Kinds of Kindness, il nuovo film di Yorgos Lanthimos, arrivato a poca distanza dal grande successo di Povere creature! Kinds of Kindness è una favola in tre atti: un uomo senza scelta cerca di prendere il controllo della propria vita; un poliziotto preoccupato dal fatto che la moglie scomparsa in mare sia tornata e sembri un’altra; una donna determinata a trovare una persona specifica con una speciale abilità, destinata a diventare un prodigioso leader spirituale. Gli attori principali, Emma Stone, Margaret Qualley, Willem Dafoe e Jesse Plemons, ritornano in tutti e tre gli episodi con ruoli e con sembianze diverse. Proprio come fa una compagnia teatrale che ogni volta mette in scena una pièce differente in cui gli attori si reinventano in ruoli nuovi. Plemons è la vera rivelazione: cambiando pochissimo l’aspetto estetico di chi interpreta, con il suo volto particolarissimo, la mascella pronunciata, la sua espressione fissa, riesce a caratterizzare ogni volta il suo personaggio in maniera diversa.

La ‘Miglior Sceneggiatura’ è di Coralie Fargeat per The Substance

La ‘Miglior Interpretazione Femminile’, come detto, è andata al cast del film di Audiard. Ma fino alla vigilia sembrava che la favorita fosse Demi Moore, protagonista assoluta del film The Substance, che ha vinto comunque il premio per la ‘Miglior Sceneggiatura’ assegnato a Coralie Fargeat, che è anche la regista. La sostanza del titolo è un prodotto che permette di dare vita a dei cloni, che siamo noi ma più giovani e più belli. Demi Moore è Elizabeth Sparkle, cinquantenne che prova a usare la sostanza: è stata cacciata dal suo programma Tv e vuole prendersi una rivincita. Il suo clone, Sue (Margaret Qualley) sembra avere successo, ma c’è una controindicazione… Una storia raccontata molte volte, dal Faust a La morte ti fa bella, diventa un body horror ironico con un messaggio molto attuale sul corpo femminile. In cui Demi Moore si mette a nudo, in senso metaforico e anche letterale.

George Lucas e Francis Ford Coppola, i ragazzi che cambiarono Hollywood

Torniamo agli anni ’60, quando alcuni ragazzi decisero di ripensare il cinema americano e di sognare tutto di nuovo. Nasceva la New Hollywood. Due di quei ragazzi erano George Lucas e Francis Ford Coppola, i quali sono stati tra i protagonisti di Cannes: Lucas ha ricevuto la ‘Palma d’Oro alla Carriera’, Coppola ha rischiato il concorso con Megalopolis, che non è stato apprezzato. George Lucas con Star Wars ha cambiato il cinema, ha rifondato Hollywood. “Non volevamo fare soldi ma fare cinema”, ha raccontato. “Eravamo pronti a rischiare e in cerca di libertà creativa. Nei miei film ho raccontato il bisogno dell’amicizia”. Chi è da sempre pronto a rischiare è Francis Ford Coppola. Megalopolis, un film che aspettava di fare da 40 anni, è la sua ennesima sfida: un’epopea romana ambientata nell’America moderna, ispirata alla congiura di Catilina, con protagonisti Adam Driver, Natalie Emmanuel, Forest Whitaker, Jon Voight, Shia LaBeouf e Dustin Hoffman. “Quando pensai di creare un parallelo tra l’Antica Roma e l’America non avevo idea che oggi sarebbe stato così rilevante”, ha dichiarato. “Nel mio Paese accade quello che successe allora, la nostra Repubblica rischia di collassare. Non si tratta solo di Trump. In tutto il mondo la tendenza è verso una nuova destra, persino fascista. Che spaventa chi come me era vivo al tempo della II Guerra Mondiale. Non vogliamo accada di nuovo. Credo che il compito dell’arte e degli artisti sia di illuminare il presente, fare luce”. Il film è enorme, spropositato, non riuscito. Ma si vuol bene alla vitalità di questo ottantenne. Le cui parole, ovviamente, sono vicine a quelle di Lucas: “I soldi non contano. La cosa importante sono gli amici. Un amico non ti lascerà mai. Il denaro può sempre sparire”.

Paul Schrader e David Cronenberg

Di quella New Hollywood faceva parte anche Paul Schrader. Oh, Canada, il suo nuovo film in concorso, è la storia di un immaginario documentarista, Leonard Fife, fuggito in Canada ai tempi della guerra del Vietnam, che parla di sé davanti alla macchina da presa. Il film mette in scena questa intervista, con Richard Gere, invecchiato ad arte, nei panni del protagonista morente. È l’occasione di raccontare anche alcune bugie su cui ha costruito la sua vita, e rivelarle anche alla moglie (Uma Thurman). Schrader, colui che aveva scritto Taxi Driver e diretto Gere in American Gigolò, usa questa storia per girare una personale riflessione su realtà e finzione, mettendo anche in discussione la propria carriera, e utilizza un giovane Leonard Fife, Jacob Elordi, che contrasta con quello interpretato da Gere. A proposito di Canada, è da qui che arriva David Cronenberg: il suo nuovo film, The Shrouds, parla del legame delle persone con le salme dei defunti. Cronenberg immagina che in un futuro prossimo possano esistere delle tombe dalle cui lapidi sia possibile osservare le spoglie di chi è sepolto. Il film, dedicato alla moglie scomparsa del regista, parla dell’ossessione per i defunti, e vira poi in una sorta di thriller complottista. È il Cronenberg raggelato e raggelante, emotivamente e visivamente, degli ultimi film.

I dannati: Roberto Minervini è il ‘miglior regista’ di Un certain regard

Roberto Minervini ha vinto il premio per la ‘Miglior Regia’ per I dannati nella sezione ‘Un certain regard’, con il suo primo film di finzione girato mantenendo il suo sguardo da documentarista. È un western esistenzialista: siamo ai tempi della Guerra di Secessione e una pattuglia di volontari nordisti si lancia alla perlustrazione di un territorio inesplorato. Il nemico c’è, lo scontro a fuoco è atteso e si presuppone, ma i sudisti sono solo delle sagome sullo sfondo in una scena. A Minervini non interessano le battaglie, ma le motivazioni, le domande, i sentimenti di chi va a combattere. E l’attesa, come ne Il deserto dei tartari di Dino Buzzati. “Volevo andare oltre la retorica della guerra”, ha raccontato Minervini. “Ho cercato di riscrivere questo genere con il metodo del cinema del reale ma in un ambito di finzione”.

Pathenope di Paolo Sorrentino

Paolo Sorrentino è stato uno dei registi più attesi a Cannes. Il suo film, Parthenope, non ha vinto premi, ma è stato molto applaudito. E ha lanciato una stella: la giovane Celeste Dalla Porta, che interpreta la protagonista che dà il titolo al film. Parthenope è il primo lungometraggio al femminile di Sorrentino, la storia di una donna, che nella prima scena esce come Venere dalle acque, un’aspirante attrice che da adulta diventa docente universitaria (con il volto di Stefania Sandrelli). Nel cast di figurano anche Gary Oldman, Silvio Orlando e Luisa Ranieri. Napoli, la giovinezza, la solitudine, il tempo che passa: c’è tutto il cinema di Sorrentino. “Qui ho messo la mia giovinezza mancata, sognata più che vissuta”, ha raccontato il regista. “Qui c’è il passaggio dell’età. La caratteristica principale della gioventù è che la verità non ne fa parte, e se si presenta è un incidente di percorso rimosso. Da giovani si è spaesati, ci si abbandona, si fanno discorsi epici di sé, si balla da soli”.

L’arte della gioia e Marcello mio

L’Italia è anche L’arte della gioia di Valeria Golino, presentato fuori concorso, film e serie insieme (è arrivato nelle sale in due parti e poi su Sky), tratto dal romanzo di Goliarda Sapienza. È la storia di Modesta (Tecla Insolia), ragazza che si ritrova nell’orfanotrofio di un convento, e poi novizia, fino a che viene cacciata e comincia una vita libera e sfrenata. Nel cast ci sono Jasmine Trinca e Valeria Bruni Tedeschi. L’Italia è anche in un film francese in concorso, Marcello mio, di Christophe Honoré con Chiara Mastroianni. Il film immagina che Chiara, dopo aver sentito forte la presenza del padre, decida di diventare Marcello Mastroianni. Il film mescola vita e cinema, realtà e finzione: è un gioco cinefilo e divertente, una lettera d’amore di Chiara al padre e al cinema. E anche una seduta di psicanalisi filmata.

Lo spettacolo di Furiosa: A Mad Max Saga

Cannes è stato anche lo spettacolare film di George Miller Furiosa: A Mad Max Saga, che rivela le origini di Furiosa, il potente personaggio interpretato da Charlize Theron in Mad Max: Fury Road. Il film è un ossimoro: visivamente abbagliante e stordente, dal ritmo mozzafiato, concitato e iperattivo, è allo stesso tempo monotono a livello narrativo, come lo era Mad Max: Fury Road. Se lo schema di quel film era l’Odissea, il viaggio, qui la matrice è Iliade e Odissea insieme, assedio e viaggio. Anya Taylor-Joy illumina il film. Attrice dal corpo minuto e dal volto unico, con quegli occhi così lontani ed enormi, Anya dà vita a un cucciolo ferito che si difende con gli artigli e con i denti, una preda che diventa cacciatore.