The Room Next Door del regista spagnolo vince il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia. Il cinema italiano è forte del Leone d’Argento a Vermiglio di Maura Delpero. Ma il miglior film italiano è un altro.
A Venezia aveva vinto solo per la sceneggiatura di Donne sull’orlo di una crisi di nervi, che aveva lanciato la sua carriera a livello mondiale, e aveva ricevuto un Leone d’Oro alla carriera nel 2019. Finalmente per Pedro Almodóvar è arrivato il Leone d’Oro: il miglior film di Venezia 81 è The Room Next Door (La stanza accanto), ispirato al romanzo di Sigrid Nunez Attraverso la vita. È un film che racconta la storia di due amiche che si incontrano dopo molto tempo: Martha (Tilda Swinton) ha un tumore in fase terminale e Ingrid (Julianne Moore) le sta vicino con amore, anche quando decide di togliersi volontariamente la vita. Aveva già toccato la morte in altri suoi film, Almodóvar, ma qui parla con decisione di eutanasia e del diritto di ognuno a porre fine alla propria vita con dignità. Lo fa con lucidità, evitando toni melò, con un film lontano dagli eccessi di un tempo, misurato, malinconico e con un tocco di umorismo per esorcizzare la morte. Vedremo il film in Italia dal 5 settembre, distribuito da Warner Bros. La notizia più bella per il cinema italiano è il Leone d’Argento – Gran premio della giuria a Vermiglio di Maura Delpero. Il Leone d’Argento per la miglior regia è andato a Brady Corbet per The Brutalist. I migliori attori sono Nicole Kidman per Babygirl e Vincent Lindon per The Quiet Son. La miglior sceneggiatura è quella di Ainda estou aqui di Walter Salles.
Vermiglio di Maura Delpero è il Gran Premio della Giuria
Il Leone d’Argento – Gran premio della Giuria è andato, dunque, a Vermiglio di Maura Delpero, un film ambientato in un paesino delle Dolomiti negli anni che precedono la fine della Seconda Guerra Mondiale. È la storia di una famiglia che accoglie un soldato siciliano che si innamora di una delle figlie, fino a che un evento non sconvolge tutti. Vermiglio è un film girato con pochi attori professionisti, tra cui Tommaso Ragno, e molti bambini e adulti non professionisti che vivono in quelle valli. Dal direttore della mostra, Alberto Barbera, è stato paragonato a L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi. Film dal ritmo compassato, Vermiglio colpisce per la fotografia, l’eleganza dei colori, i costumi e le ambientazioni oltre che per i bei volti dei protagonisti.
The Brutalist di Brady Corbet è la ‘miglior regia’
Se c’è un film che è stato amato e che poteva contendere il Leone d’Oro ad Almodóvar è stato The Brutalist di Brady Corbet, che ha vinto il Leone d’Argento per la ‘miglior regia’. È la storia di un architetto visionario (Adrien Brody) e di sua moglie (Felicity Jones) che fuggono dall’Europa del dopoguerra per ricostruire la loro vita e, allo stesso tempo, riescono ad assistere alla nascita dell’America moderna. Le loro vite vengono cambiate per sempre da un misterioso e ricco cliente (Guy Pearce). Il titolo fa riferimento alla corrente architettonica del brutalismo, uno stile allora all’avanguardia, a cui Laszlo dà vita grazie ai suoi studi in Ungheria. The Brutalist, girato in 70 millimetri e ispirato a La fonte meravigliosa di King Vidor, per l’impatto delle immagini e la durata (3 ore e 35 minuti) è stato paragonato a Il Petroliere di Paul Thomas Anderson e a C’era una volta in America di Sergio Leone. Adrien Brody è alla sua miglior performance della carriera dai tempi de Il Pianista.
Nicole Kidman e Vincent Lindon sono i ‘migliori attori’
La Coppa Volpi per le migliori interpretazioni femminile e maschile è andata a Nicole Kidman e Vincent Lindon. L’attrice australiana ha vinto il riconoscimento per Babygirl di Halina Reijn, per il ruolo coraggioso di una donna matura che cerca di soddisfare i suoi desideri fuori dal matrimonio con un giovane stagista (Harris Dickinson) della multinazionale di cui è a capo. Babygirl rimane a metà tra il thriller erotico e un film sul desiderio femminile, sul consenso e sui rapporti di potere. Nicole Kidman è coraggiosa nel mettersi letteralmente a nudo. Vincent Lindon ha vinto per The Quiet Son di Delphine Coulin e Muriel Coulin, in cui interpreta il padre vedovo di due figli adolescenti, uno dei quali prende una pericolosa strada, quella dei gruppi di estrema destra; Lindon incarna i tormenti di un padre in modo toccante e convincente in un film riuscito anche grazie a lui.
Ainda estoi aqui è la ‘miglior sceneggiatura’
Ha vinto ‘solo’ il premio per la ‘miglior sceneggiatura’ (di Murilo Hauser ed Heitor Lorega) Ainda estoi aqui (I’m Still Here) del brasiliano Walter Salles, che per molti avrebbe potuto conquistare il Leone d’Oro o la Coppa Volpi a Fernanda Torres. Il film racconta la storia della sparizione dell’ex deputato brasiliano Rubens Paiva nel gennaio del 1971, durante la dittatura dei colonnelli, e la determinazione della moglie Eunice a proteggere la famiglia e a scoprire il destino del marito, trovando le prove della sua detenzione. Proprio la prova di Fernanda Torres è l’elemento che ha colpito di più di questo film. April di Dea Kulumbegashvili ha vinto il Premio speciale della giuria: è un film importante che parla di aborto clandestino. In Georgia oggi l’aborto è illegale e il film racconta la storia della ginecologa di un importante ospedale che lo pratica, anche spostandosi in piccoli paesini.
Ma il miglior film italiano è una serie…
Ferma restando la soddisfazione per il premio a Maura Delpero, gli addetti ai lavori hanno decretato all’unanimità che il miglior film italiano del festival è, in realtà, una serie. È M – Il figlio del secolo, serie prodotta da Sky dal romanzo omonimo di Antonio Scurati, che è un grande film di sette ore. Diretta da Joe Wright, racconta le origini del fascismo e l’ascesa di Mussolini, riuscendo a tenere la giusta distanza dalla materia, non cadendo né nell’apologia né nella farsa. Come nel libro, si sceglie a volte di far parlare Mussolini in prima persona, con un effetto straniante. Al centro di tutto, nella parte del protagonista, c’è Luca Marinelli, grande attore che evita il mimetismo e punta sullo sguardo e sulla voce. La regia di Joe Wright è funzionale e controllata, con qualche virtuosismo, come l’inclinazione di certe inquadrature. A proposito di serialità, ha colpito nel segno anche Disclaimer – La vita perfetta di Alfonso Cuaron, serie in 7 episodi a ottobre su Apple Tv+, in cui Cate Blanchett è una giornalista e documentarista londinese di grande successo che ha sempre fustigato i malaffari degli altri e ora si trova invischiata in una storia di segreti e bugie che la riguardano in prima persona. Non poteva esserci attrice migliore di Cate Blanchett per rappresentare, come in Tar, un personaggio a più facce.
Gli italiani: Amelio, Grassadonia e Piazza, Guadagnino, Steigerwalt e Comencini
Al di là dei premi, Venezia è stata, al solito, una buona vetrina per il cinema italiano che ha portato 5 film in concorso. Campo di battaglia di Gianni Amelio, con Alessandro Borghi e Gabriel Montesi, è un film di guerra senza scene di guerra. È la storia di due medici durante la Prima Guerra Mondiale. Il primo, interpretato da Montesi, è un ufficiale tutto d’un pezzo che richiama i suoi al dovere; il secondo, il personaggio di Borghi, a suo modo prova a evitare la guerra a chi può, rimandando a casa chi è ferito, a volte anche amputando arti sani per ottenere un congedo. È un film che guarda indietro ma anche all’attualità e che parte dal presupposto che le guerre fanno male alla povera gente e colpiscono sempre gli innocenti. Con Iddu, Fabio Grassadonia e Antonio Piazza continuano a rileggere le storie di mafia, stravolgendole, prendendo punti di vista non scontati e rendendole qualcos’altro. Iddu racconta il tentativo dei servizi segreti italiani di incastrare Matteo Messina Denaro con la collaborazione dell’ex sindaco del suo paese d’origine. Prendendo spunto da un fatto vero, Grassadonia e Piazza costruiscono una farsa, sostenuta dalle interpretazioni di Toni Servillo ed Elio Germano. Una grande interpretazione è anche quella di Daniel Craig in Queer di Luca Guadagnino, tratto dal romanzo di William Burroughs. Craig è un uomo maturo, Lee, che gira alla conquista di giovani amanti nei bar di Città del Messico, fino all’incontro con uno studente, Allerton, che sembra diverso dagli altri. Tra scene esplicite di sesso omosessuale – con al centro Daniel Craig, ex James Bond, cioè simbolo di mascolinità – Queer sembra voler raccontare l’impossibilità di essere davvero felici, un’inquietudine e un’insoddisfazione di fondo e una freddezza difficili da far sparire. Il sesso è al centro anche di Diva futura, di Giulia Louise Steigerwalt, che racconta l’epopea di Riccardo Schicchi (un convincente Pietro Castellitto) e della sua agenzia di pornodive, tra cui Cicciolina e Moana Pozzi. Erano gli anni in cui le pornostar uscivano dal loro mondo e arrivavano nelle case di tutti (vediamo spezzoni dei programmi tv di Baudo, Costanzo e Fazio), quelli in cui un uomo, con un entusiasmo infantile, riuscì a liberare i desideri degli italiani e a sfidare il comune senso del pudore, prima che quel mondo degenerasse. È stato presentato fuori concorso, anche se lo avrebbe meritato, Il tempo che ci vuole di Francesca Comencini, che racconta il suo rapporto con il padre, il grande Luigi Comencini: un’infanzia incantata, la ribellione dell’adolescenza, la droga, da cui il padre la salvò, e il cinema come ragione di vita. A interpretare Francesca, da giovane, è la luminosa Romana Maggiora Vergano, la rivelazione di C’è ancora domani. A Orizzonti, invece, è stato presentato Familia di Francesco Costabile, con Barbara Ronchi e Francesco Di Leva: è la storia che Luigi Celeste raccontò nel suo libro Non sarà sempre così, scritto dal carcere di Bollate, in cui scontava la pena dopo la condanna per aver ucciso il padre per salvare la madre dagli abusi. Costabile ha trattato la storia con delicatezza, realizzando un melodramma nero contro la tossicità del patriarcato. E il giovane Francesco Gheghi ha vinto il premio come miglior attore.
Divi e dive: Angelina Jolie, Lady Gaga, Joaquin Phoenix, George Clooney e Brad Pitt
Il Lido è anche il luogo di divi e dive. E, così, ha brillato Angelina Jolie in Maria di Pablo Larrain, dedicato a Maria Callas, che racconta l’ultima settimana di vita del famoso soprano che ha perso la voce e vive tra ansiolitici ed eccitanti. Angelina Jolie nel film non è mimetica né cerca l’aiuto di trucchi prostetici, ma la sua forza è nello sguardo e nell’ugola. L’attrice ha studiato canto e ha davvero cantato; spesso la sua voce è coperta da quella della Callas, ma in questo modo ci è arrivato lo sforzo del canto. Grandi divi anche per Joker: Folie À Deux, di Todd Phillips, con Joaquin Phoenix e Lady Gaga, sequel del film che vinse il Leone d’Oro e che trasforma quel cinecomic in qualcosa di diverso, un antimusical. La storia inizia al manicomio di Arkham, dove i secondini dileggiano Arthur Fleck e lo spronano a riprendere il ruolo di Joker. La sua sfida sarà questa, combattere per mantenere la sua identità contro un mondo che lo vuole Joker, simbolo delle rivolte degli ultimi. Harley Quinn, interpretata da Lady Gaga, incontrata in manicomio, è il suo specchio, anche se rimane piuttosto indietro rispetto al protagonista. Gli ultimi veri divi della vecchia Hollywood sono George Clooney e Brad Pitt, protagonisti di Wolfs – Lupi Solitari di Jon Watts, fuori concorso, in cui sono due uomini che si trovano insieme per forza, assunti per fare lo stesso lavoro: far sparire un cadavere. È una buddy comedy, che arriverà direttamente su Apple Tv+, in cui i due fanno il loro lavoro: divertire. E sa divertire, eccome, anche Tim Burton che a Venezia ha avuto l’onore di portare il film d’apertura, fuori concorso, Beetlejuice Beetlejuice. Insieme a Michael Keaton e Winona Ryder, Burton ha girato un omaggio al suo film cult degli anni Ottanta. Il cast originale del film si conferma in gran forma e ci regala un’ottima evoluzione dei personaggi. Le new entry, Monica Bellucci e Jenna Ortega, aggiungono fascino e, nel secondo caso, attrazione per il pubblico giovane che ha amato la serie Mercoledì. Il risultato è una commedia dark, tipicamente nelle corde dell’autore, una divertente danza macabra in cui musica e immagini si fondono per dare vita a delle nuove scene cult degne dell’originale. Per un film che è stata la degna apertura di un ottimo festival.