La modella Carlotta Bertotti ospite di Luca Casadei nella nuova puntata del podcast “One More Time” - MEDIAKEY
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La modella Carlotta Bertotti ospite di Luca Casadei nella nuova puntata del podcast “One More Time”

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La storia di rinascita raccontata nella nuova puntata del podcast One More Time (OnePodcast) di Luca Casadei è quella della giovane modella torinese Carlotta Bertotti, che per anni è rimasta nascosta sotto il trucco per rendere invisibili le sue insicurezze, causate dal Nevo di Ota, una voglia bluastra che le occupa parte del viso dall’età di otto anni. Nell’intensa intervista, Carlotta si racconta ripercorrendo ai microfoni di Luca Casadei il suo passato segnato da un’infanzia complicata, un difficile percorso di accettazione e la svolta durante il viaggio di maturità, giorno in cui ha preso l’importante decisione di mostrarsi “disarmata” per trasformare le sue fragilità in punti di forza e iniziare la sua vita.

Il racconto comincia dall’infanzia, segnata da un rapporto contrastante con i genitori: «Vengo da una situazione familiare ormai comune. I miei hanno divorziato quando avevo 2 anni e sono cresciuta con mia nonna. Mia mamma è una donna fragile, anche lei ha avuto problemi di anoressia, ha avuto tanti aborti, tant’è che non poteva avere figli. Ho un forte senso di protezione nei suoi riguardi». Ancor più complesso il rapporto con il padre: «è una figura molto autoritaria, a livello umano non è un padre, non mi ha mai detto “brava”, forse non mi ha mai detto “ti voglio bene”. Mi sono sempre sentita in difetto. Non ci parliamo da tanto tempo. Mi sono fatta una promessa, non ci sarà giorno in cui mio papà non mi vedrà e non sentirà parlare di me, anche perché a me è sempre sembrato come se ogni tanto si dimenticasse di avere una figlia e allora glielo ricordo io».

Durante l’infanzia sul viso di Carlotta inizia a manifestarsi una macchia, oggi conosciuta come il Nevo di Ota: «La macchia sul viso è arrivata all’età di 8 anni, fin da subito ho dovuto far fronte agli sguardi e alle domande scomode. Non mi sono mai permessa di prendermi la libertà di giocare con gli altri bambini. Ero sempre sul chi va là e avevo sempre questo atteggiamento nei confronti degli altri, come se mi stessero prendendo in giro e mi dicevo “devi stare in silenzio, devi stare al tuo posto”. All’inizio i dottori pensavano fosse un trauma da parto. Poi c’è stato un episodio in cui mi sono venute due lentiggini blu, sul mento e sulla fronte, non andavano via, pensavo fosse penna. Man mano è venuta come un’ombra leggerissima…il dermatologo non sapeva cosa fosse perché è una condizione molto rara, presente in una percentuale minima, tipo dello 0,02% in Italia».

Sulla paura di mostrarsi, che l’ha portata a cercare di nascondere la voglia per anni, con due ore di trucco al giorno, racconta: «Inizio a truccarmi. Per me non era una scelta, era una questione di sopravvivenza, era decidere se uscire di casa o restare a casa. Un trucco quasi da set cinematografico, che ho imparato a fare da sola. Miscelare prodotti, sperimentare…ero tipo un piccolo chimico. Bisognava però testarli nel tempo, capire effettivamente se il prodotto durava, non durava. Ero diventata ossessiva alla ricerca di una perfezione che poi era tutta nella mia testa. Ci mettevo due ore, mi svegliavo all’alba».

Oltre al Nevo di Ota, all’età di 12 anni le viene diagnosticato un meningioma alla testa, cui segue una difficile paralisi: «Mi hanno diagnosticato un meningioma, un tumore benigno che aveva raggiunto una dimensione tale che sembrava inoperabile. Il dottore mi aveva detto “tu ti risvegli come prima”, ma non è stato così: mi sono svegliata in terapia intensiva dopo due settimane di coma farmacologico. Avevo la faccia paralizzata, tutti quei micromovimenti, mangiare, bere, sorridere, io da un momento all’altro non riuscivo più a farli. Ero letteralmente imprigionata nel mio corpo. Quando hai una paralisi il tuo volto cambia completamente, non vedevo più la macchia…vedevo un mostro».

Sul rientro a scuola dopo la paralisi e il rapporto con i compagni di classe afferma: «Il giorno in cui ho detto a mia nonna “nonna io domani vado a scuola”, facevo la terza media, mi ero fatta tutta bella. Avevo la stampella, non potevo camminare. La mia classe era al terzo piano e avevo due scelte, o faccio il gradino o prendo l’ascensore. No, sono andata dritta verso i gradini e sono entrata in classe alla seconda ora. Non ho mai subito bullismo, sono stata tanto fortunata forse anche per il tratto caratteriale. Sono sempre stata la rappresentate di classe, quella che organizzava le gite a cui non andava, perché sarebbe stato troppo rischioso passare tante ore fuori casa senza i trucchi dietro».

Un giorno decide di mostrarsi senza trucco e da quel momento la sua vita cambia: «Io andavo dallo psicologo per accettare di truccarmi, non per accettare la macchia. Per la prima volta lo dico ai miei compagni durante il viaggio di maturità a Valencia, avevo programmato tutto con l’aiuto del mio psicologo dopo un anno di preparazione. Sono andata nel bagno, mi sono struccata, torno dai ragazzi e dico: “raga notate qualcosa di strano?”. Ma la vera sfida poi è stata a settembre, quando ho iniziato l’università, avevo due scelte “mi trucco, non mi trucco” e non mi sono più truccata, da lì ho detto “si cambia vita”».  

Cambia anche la percezione di sé stessa e decide di scattare delle foto struccata che posta sui social: «Queste foto diventano virali. I fotografi iniziano a contattarmi, fino a quando non è arrivato un messaggio da un famoso fotografo londinese, Brock Elbank, che ha un progetto creativo di immortalare quelle che sono delle sfumature dell’essere umano non convenzionali, ogni foto raccontava una storia. Lì per la prima volta mi sono detta: “posso fare la differenza, voglio sentirmi parte di qualcosa, voglio raccontare anch’io la mia storia”. Sono andata a Londra e ho fatto 3 scatti che sono andati virali, tanto che uno è stato appeso al Metropolitan Museum di New York».

 Nel suo percorso anche un primo amore che poi si è rivelato tossico: «All’università ho conosciuto un ragazzo 13 anni più grande di me e mi sono innamorata. È stato uno di quegli amori possessivi, fatto di presenza e assenza, di continui tradimenti che io accettavo. Lui mi aveva portato totalmente al di fuori dalla mia famiglia, da mia nonna, dalle mie amicizie e io cercavo di essere accondiscendente verso ogni sua scelta perché pensavo fosse l’unico modo per meritarmi amore. Non c’era per nulla amore. Lui non faceva altro che farmi sentire una scema, soprattutto nel periodo in cui facevo la modella. Lui mi diceva “ma sai che hai le ginocchia grosse?”. Ti dici: “faccio schifo”. Io dicevo “lui va con altre donne perché io non sono abbastanza”». Oggi al fianco di Carlotta c’è Alessandro: «Ho scoperto l’amore vero due anni fa, dopo che ho imparato a stare da sola. C’è sempre stato nella mia vita, prima come amico, mi ha sempre sostenuta e non mi ha mai fatto sentire inadeguata».

Negli anni Carlotta ha sofferto e soffre tuttora di disturbi alimentari: «Non li gestisci i disturbi alimentari. Ci sono diverse fasi. C’è una prima fase in cui non ti rendi conto di averli, la seconda in cui credi di gestirli ma sono loro che gestiscono te e poi c’è una terza fase di consapevolezza in cui ti rendi conto che c’è qualcosa che non va, che il rapporto con il cibo non è un rapporto salutare, e in quel momento devi avere la prontezza di dire “devo fare qualcosa per me”. Io sono nella terza fase in cui mi sono resa conto che ho un problema, ho un rapporto con il cibo che non va bene e sono arrivata a non mangiare per fittare meglio all’interno del vestito. Prima di una sfilata, nello specifico, io mi inizio a sentire male, non mangiavo da cinque giorni. Lì il mio corpo mi ha detto no, stavo svenendo. Ho vomitato, ma non vomitavo nulla. E da lì inizia un percorso in cui poi arrivi a uno stato di equilibrio e da quello stato lì puoi cadere. Oggi cerco di essere consapevole di quello che mangio senza forzarmi, vivo la mia quotidianità con la consapevolezza che devo mangiare. Ci sono dei giorni che sto bene e giorni in cui perdo la rotta, ma so che non sarà sempre così, è un momento».

Sul mondo della moda Carlotta ci tiene poi ad aggiungere che: «Quello della moda è un mondo tossico. L’esordio dei miei disturbi è stato nel momento in cui vedevo le altre modelle che partecipavano ai casting e mi guardavo. C’è stato un episodio: ad un casting per un noto brand di moda in cui ad un certo punto una persona che lavorava inizia a prendermi le misure e poi senza dir nulla, non mi avevano neanche guardato in faccia, mi fanno “non vai bene”. E mi ricordo quell’episodio come se fosse ieri. Ed è in quel “non vai bene” che mi sentivo veramente troppo sbagliata e da lì ho iniziato ad avere problemi con il cibo. Perché mi dicevo “ma perché non vai bene?”, non sei abbastanza magra, quindi devi fare qualcosa».

Oggi Carlotta è fiera di sé stessa: «Non cambierei una virgola del mio passato e alcun tipo di mia scelta perché, se sono qui oggi, in generale, se sto facendo quello che sto facendo, è grazie anche al mio passato. Non è un essere vittime, ma essere consapevoli di avere la responsabilità di poter aiutare una persona che magari si sente uno schifo».

Link al podcast: https://open.spotify.com/show/2MsuEEO5qrZP2whPkZOlqN