A firma di Carlotta Carucci, CEO di Vanilla Marketing
Un tempo bastavano poche parole digitate su Google per trovare quello che cercavamo. Oggi, sempre più spesso, le risposte arrivano già pronte nella parte alta della pagina, generate da Gemini. Non c’è più bisogno di cliccare su un link: la ricerca diventa conversazione, e i contenuti smettono di essere soltanto “scritti per Google” per diventare materia prima delle AI.
Proprio per questo motivo, l’intelligenza artificiale non è più un supporto opzionale: è ormai la spina dorsale della SEO. Secondo un recente rapporto di SEMrush, oltre il 60% dei marketer utilizza strumenti di intelligenza artificiale per la SEO al fine di migliorare le proprie performance digitali. L’AI non si limita a farci salire di posizione: ci rende “trovabili” anche quando l’utente non digita esattamente il nostro nome. Capisce l’intento di ricerca, collega domande implicite a risposte pertinenti e permette a un brand di comparire nelle conversazioni digitali prima ancora che qualcuno pensi di cercarlo.
Per i marketer, questo si traduce in un mondo in cui la produzione di contenuti avviene a una velocità vertiginosa — spesso alimentata proprio dall’AI — e di conseguenza ciò che fa davvero la differenza non è la quantità, ma la qualità. Gli utenti non cercano testi generici: vogliono contenuti che trasmettano profondità, autorevolezza e fiducia. Per questo Google ha rafforzato il peso della credibilità del brand e dell’EEAT (Experience, Expertise, Authoritativeness, Trustworthiness) nei criteri di ranking: a emergere non sono i siti che pubblicano di più, ma quelli che sanno trasmettere credibilità e che hanno una solida reputazione.
In questo scenario, la Search Engine Results Page (SERP), non è più solo una lista di link da scalare: oggi si compone di risposte AI, snippet, contenuti video e risposte generative. Le nuove AI Overview (come quelle integrate in Google, ChatGPT o Perplexity) hanno già ridotto drasticamente il click-through rate (CTR) sui risultati organici tradizionali, soprattutto per query informative, con diminuzioni medie del traffico tra il 7% e il 10%. Molte ricerche ora si concludono senza clic, e gli utenti leggono le informazioni fornite nella sintesi iniziale come interfaccia principale. Per chi fa marketing significa una cosa: non basta più scalare le classifiche di Google, bisogna entrare nello spazio in cui l’AI decide quali contenuti mostrare.
Oltre a rivoluzionare la creazione e la visibilità dei contenuti, l’Intelligenza Artificiale sta diventandoun alleato fondamentale nella SEO tecnica, ovvero nella loro manutenzione. Grazie alla sua capacità di elaborare grandi quantità di dati in tempo reale e riconoscere pattern complessi, l’AI consente di migliorare la qualità e l’affidabilità delle infrastrutture digitali su cui poggiano i contenuti. Uno degli ambiti dove l’AI mostra il massimo potenziale è l’anomaly detection, ovvero la capacità di intercettare comportamenti o metriche fuori norma rispetto al funzionamento atteso di un sito, prevenendo problemi che comprometterebbero l’esperienza utente.
Anche criticità classiche, come i “link rotti” (broken links), che possono compromettere l’esperienza utente e influenzare negativamente la percezione di autorevolezza del sito da parte di Google, possono essere individuate e corrette automaticamente da piattaforme basate su AI, migliorando la struttura del sito e preservando la reputazione del dominio. L’intelligenza artificiale — integrata nei moderni SEO crawler o piattaforme di auditing — consente infatti di individuare e mappare sistematicamente i link non funzionanti, suggerendo correzioni automatiche o alternative contestuali.
Il punto di svolta è questo: non si tratta più soltanto di usare l’AI per fare SEO meglio e più velocemente, ma di imparare a fare SEO per l’AI. Significa creare contenuti leggibili e appetibili per i modelli generativi. Da questa visione nasce l’approccio “SEO for AI”, che ribalta la prospettiva tradizionale: mentre gran parte del settore si concentra sull’utilizzo dell’AI per potenziare strategie SEO consolidate, la prospettiva qui proposta suggerisce una direzione alternativa — e forse più lungimirante — che tiene conto di un possibile declino dei motori di ricerca tradizionali così come li conosciamo oggi per puntare ad essere riconosciuti come fonte affidabile dalle intelligenze artificiali che mediano sempre più ricerche.
Nonostante i cambiamenti, la link building resta una leva chiave. Secondo un’indagine di Search Engine Land, ben il 73,2% dei professionisti SEO ritiene che i link abbiano ancora un impatto rilevante anche nei risultati generati da AI, come le panoramiche artificiali. Nonostante l’avanzata dell’intelligenza artificiale, la costruzione di backlink rimane una delle leve centrali per segnalare fiducia, autorevolezza e pertinenza tematica ai motori di ricerca. Anche altre fonti come SE Ranking e Ahrefs lo confermano: i backlink da siti autorevoli restano un segnale di ranking forte, mentre i link di bassa qualità, spam o manipolativi possono risultare controproducenti. In altre parole, costruire relazioni autentiche online, ottenere link da fonti autorevoli e mantenere un profilo backlink pulito e diversificato rimane essenziale per rafforzare la reputazione digitale.
Entro la fine del 2025 vedremo probabilmente la nascita di strumenti specifici per tracciare la presenza di un brand nelle risposte AI, e un dialogo più strutturato tra editori e aziende tecnologiche sul tema copyright e compensazione per i contenuti usati nell’addestramento. Ma la direzione è chiara: il successo non si misurerà più solo in click, ma nella capacità di farsi riconoscere come fonte attendibile dalle intelligenze artificiali. La vera sfida sarà quindi quella conquistare un posto di fiducia non soltanto nella mente delle persone, ma soprattutto nella memoria delle macchine.

